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Opzione-donna, pensione anticipata con trappola

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A riposo molto prima del previsto. È l’opportunità offerta oggi a molte lavoratrici italiane, comprese le libere professioniste con la partita Iva, nonostante l’approvazione della Riforma Fornero, cioè la nuova legge previdenziale voluta dal governo Monti che ha alzato notevolmente l’età del pensionamento. Mentre l’attuale premier Enrico Letta sta pensando di modificare la Riforma Fornero, non va dimenticato che, fino al 2015, molte donne (dipendenti e autonome) possono comunque andare in pensione senza rispettare le severissime soglie fissate come regola generale per tutti i lavoratori. Per riuscirci, bisogna usufruire delle “agevolazioni” previste dalla legge n. 243 del 2004, un provvedimento approvato circa 9 anni fa, con la regia dell’allora ministro del Lavoro, Roberto Maroni.

 

Opzione-donna, come funziona

Si tratta di un regime sperimentale (ribattezzato subito “opzione-donna”) che resterà in vigore ancora per due anni e che permette alle lavoratrici di mettersi a riposo con 35 anni di contributi versati e 57 anni (58 anni per le iscritte alla Gestione Separata, cioè quel particolare fondo dell’Inps in cui versano i contributi i dipendenti precari e le partite Iva non iscritte a un Ordine professionale). Questo beneficio ha però un prezzo che, alla fine, può rivelarsi molto salato. Chi si avvale dell’opzione-donna, infatti, vedrà il proprio assegno pensionistico calcolato interamente con il metodo contributivo, cioè in proporzione ai contributi versati nel corso di tutta la carriera e non con il più vantaggioso sistema retributivo (cioè sulla base della media degli ultimi stipendi percepiti prima di mettersi a riposo). Chi accetta il sistema contributivo al posto di quello retributivo, subisce di solito un pesante taglio alla rendita, che può arrivare sino al 50% delle ultime retribuzioni dichiarate. Alla fine, dunque, l’opzione-donna rischia di rivelarsi una mezza fregatura, al punto da spingere parecchie lavoratrici a rimanere in attività, per non dover ricevere una pensione da fame.

 

A chi conviene

L’uscita dal lavoro a 58 anni concessa da Maroni nel 2004, però, potrebbe essere comunque conveniente per alcune categorie di lavoratrici che proprio non ce la fanno più a restare in attività e che, pur scegliendo il sistema contributivo per il calcolo della pensione, non subiscono una grande perdita. Si prenda ad esempio il caso di una donna di 58 anni che ha lavorato per circa 20 anni come dipendente ma che, da molto tempo, si è messa in proprio aprendo la partita Iva. Se questa lavoratrice si è iscritta alla Gestione Separata dal 1996 (l’anno in cui questo fondo è stato creato) avrà comunque una parte consistente degli assegni pensionistici calcolata con il metodo contributivo, indipendentemente dall’età del pensionamento. Va ricordato, infatti, che le partite Iva senza Ordine e i dipendenti precari sono da sempre esclusi dal vecchio e vantaggioso (ma discutibile) sistema retributivo, che in passato ha permesso a milioni di italiani di congedarsi dal lavoro con delle rendite altissime, calcolate sulla base degli ultimi stipendi.

 
A riposo 5 anni prima

Dunque, la lavoratrice dell’esempio sopra descritto può andare in pensione già oggi, a 58 anni, se accetta di estendere il metodo contributivo anche a quella fetta di carriera svolta come dipendente, che ha comunque un peso non troppo elevato nella sua contribuzione complessiva: 20 anni su un totale di 35. In questo caso (anche se è difficile fare calcoli precisi senza un esame di ogni singola situazione previdenziale), l’assegno Inps sarà sicuramente più basso di quello che la stessa pensionata otterrebbe mantenendo in parte il metodo retributivo. La differenza, però, non sarà probabilmente enorme. Inoltre, chi accetta di sacrificarsi ottiene l’indubbio vantaggio di potersi mettere a riposo con molto anticipo, cioè 5 o 6 anni prima di quanto prevede legge Fornero. Secondo le regole generali della riforma, infatti, nel 2013 le donne lavoratrici autonome possono andare in pensione a 63 anni e mezzo oppure con 41 anni e mezzo di carriera indipendentemente dall’età (ma con alcune penalizzazioni per chi non ha ancora compiuto i 62 anni).


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