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Riforma del lavoro, un disastro firmato Fornero

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Nel secondo semestre 2012 l’occupazione in Italia ha subìto un crollo senza precedenti: lo afferma un rapporto di Confartigianato realizzato in collaborazione con Ispo secondo il quale tra luglio 2012 (mese in cui è entrata in vigore la Riforma del mercato del lavoro, la legge 192/20912, firmata da Elsa Fornero) a gennaio 2013, il numero dei disoccupati è aumentato di 268.000 unità e l’occupazione è calata dell’1,3%, pari a 1.641 occupati in meno al giorno, il valore più basso degli ultimi 9 anni. Contemporaneamente il tasso di disoccupazione è aumentato dell’1,1%, vale a dire più del doppio rispetto allo 0,5% registrato nei Paesi dell’Eurozona.

 

Nel primo semestre di applicazione, la legge Fornero sembra aver influito negativamente sull’andamento di tutte le forme contrattuali, in particolare sul lavoro precario: le assunzioni “a tempo intermittente” sono diminuite del 37,4% e i contratti di lavoro parasubordinato a tempo sono calati del 15,3%. Complessivamente le due tipologie di contratto hanno fatto registrare un calo del 24,4% rispetto al secondo semestre del 2011. In diminuzione anche le assunzioni di lavoratori dipendenti, con un -4,4%. Ma in questo periodo anche i lavoratori in proprio hanno subito un vero e proprio tracollo: quelli senza dipendenti sono diminuiti del 3,2% e i collaboratori con partita Iva del 4,8%.

 

Colpa della riforma o colpa della crisi? Di sicuro la riforma non ha inciso positivamente su nessuna forma di lavoro. E non solo. Sempre secondo la Confartigianato non c’è è stato nessun ‘passaggio’ di occupazione da tempo parziale a tempo pieno. Al contrario nel secondo semestre 2012 (rispetto al secondo semestre 2011) gli occupati a tempo pieno sono diminuiti del 2,2% e i lavoratori a tempo parziale sono aumentati del 9,7%. In più continua a crescere il costo del lavoro: nel decennio che va dal terzo trimestre 2002 al terzo trimestre 2012, il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24,8%, cioè il 7,8% in più rispetto al +17% registrato nell’Eurozona. All’interno di questo record negativo, l’Italia registra un altro primato poco invidiabile: la tassazione dei salari. Il cuneo fiscale sul costo del lavoro di un dipendente single senza figli con retribuzione media è pari al 47,6%, il 12,3% in più rispetto al 35,3%, media dei paesi Ocse. Se non si può imputare questo fatto alla riforma Fornero, va sottolineato come la riforma non abbia comunque contribuito a fermare o invertire questa tendenza.

 

L’emergenza dimenticata

«Le nostre rilevazioni – dice il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti – confermano quanto avevamo denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo di apprendistato e dei contratti a tempo determinato senza alcuna riduzione del costo del lavoro dei contratti standard. E ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve, soprattutto in tempi di crisi, vale a dire diminuire il costo del lavoro». Non stupisce dunque che il 65% degli aderenti all’associazione abbiano “bocciato” la norma e che oltre un milione di artigiani denuncino ulteriori difficoltà legate alla riforma.

Tutto non fa che confermare quello che “La Mia Partita Iva” sta ripetendo da tempo: quella del lavoro è diventata l’emergenza numero uno di questo Paese. Ma mentre Tv e giornali continuano a parlare dei mal di pancia dei partiti e della lotta senza quartiere per accaparrarsi le poltrone, la maggior parte dei media non ne parla o tende a mettere il problema sotto il tappeto. Fra i siti dei grandi giornali nazionali solo uno ha dato risalto alla ricerca Confartigianato. Ricerca che ci ricorda quattro punti chiave che vogliamo sottolineare con forza una volta di più:

 

  • La riforma del lavoro dello scorso luglio non ha aiutato il mercato, al contrario. Anche il tanto sbandierato superamento dell’articolo 18 che secondo alcune parti politiche avrebbe dovuto essere la panacea di tutti i mali non ha sortito gli effetti sperati. Senza una sostanziale detassazione del lavoro e una semplificazione delle norme che lo riguardano non può esserci crescita occupazionale;
  • Il lavoro autonomo, quello che a livello europeo (a livello nazionale molto meno) viene visto come una delle risposte forti alla crisi (in inglese self employed o IBO, individual business owner) non può supplire alla crisi del lavoro dipendente senza norme che ne codifichino tempi e modi dei pagamenti dei clienti e dei finanziamenti (bancari e no) a chi lo svolge;
  • Lo sblocco dei crediti della Pubblica Amministrazione (più di 70 miliardi di euro accertati) o almeno di una parte di essi è essenziale per ridare fiato (liquidità) anche ai lavoratori autonomi, che spesso sono fornitori delle aziende che aspettano quattrini dallo Stato;
  • Ordini, associazioni, lacci e laccioli: per lavorare le partite Iva non hanno bisogno di altra burocrazia ma di meno burocrazia, di poche norme certe e non di altri oboli da pagare e di altri ostacoli sulla strada del lavoro.

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